venerdì, marzo 30, 2007

Attivo Giovani Comunisti



In preparazione della manifestazione del 14 Aprile a Capo Frasca

Attivo


Giovani Comunisti
Federazione di Cagliari.

Giovedì 5 Aprile, ore 18,
Via Baronia n.13,
(presso “Carovana Sarda della Pace”)

Proiezione del filmato

“Oltre il Giardino”Documentario sulla base militare nel Salto di Quirra.

A seguire ci sarà un dibattito sul tema delle servitù militari in Sardegna.

Tutti sono invitati a partecipare.

lunedì, marzo 26, 2007

Circolo PRC “Giovanna Chessa”, Giovani Comunisti/e Cagliari

Venerdì 23 Marzo, ore 18:00
Presso “la carovana sarda della pace” in Via Baronia n. 13 cagliari



Dibattito pubblico:
“Ambiente: freno allo sviluppo o risorsa?”



Coordina

Maurizio Puddu
Direttivo Circolo “Giovanna Chessa”

Partecipano:
Vincenzo M. D’Ascanio
Coordinatore Federale Giovani Comunisti

Stefano Deliperi
Gruppo intervento giuridico

Gabriella OrrùSegreteria Federale Prc, Dip. Ambiente

Vincenzo Tiana

Presidente Regionale Legambiente


Conclude:
Luciano Uras
Capogruppo PRC Consiglio Regionale

Ambiente: la risposta è lo sviluppo sostenibile.


Premessa

Come tutti sappiamo, col passare del tempo il tema dell’ambiente sta assumendo un ruolo sempre più centrale. Come evidenziano gli esperti di tutto il mondo il nostro Pianeta sta lentamente morendo, anche se l’individuazione di uno specifico tracollo non ha una data precisa. C’è chi parla di ottanta, altri di cinquanta, i più pessimisti di trent’anni. Un elemento che non si può contestare è questo: il nostro Pianeta è malato, e se non se ne prende coscienza, rischia di trasformarsi in un malato terminale.
Diversi fenomeni ambientali ci dicono che l’ambiente in cui viviamo è gravemente deteriorato. Fenomeni come il buco nell’ozono, o lo scioglimento dei ghiacciai, stanno entrando nell’immaginario collettivo come degli elementi quasi familiari, con cui le nuove generazioni crescono quasi banalizzando la loro pericolosità. Il surriscaldamento del pianeta, di cui tutti siamo testimoni, è un inquietante indicatore dello stato di salute del pianeta, un fenomeno globalizzato che riguarda tutte le Regioni e tutti i continenti. Inquinamento del territorio, dei mari e dell’aria, disboscamenti selvaggi come quelli che puntualmente sono effettuati in America Latina, utilizzazione delle risorse idriche a scopi industriali, sono tutti fenomeni che stanno contribuendo al grave deterioramento ambientale dei nostri giorni.
Purtroppo, la politica internazionale non è riuscita a dare delle valide risposte a queste problematiche. Dalla grande Conferenza di Stoccolma del 1972, e passando per la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, per arrivare sino alla Conferenza di Jhoanesburg del 2002, abbiamo assistito a una grandiosa contrapposizione di Stati, che pressati dai rispettivi interessi economici non hanno voluto individuare una politica unitaria e sostanziale. Il Protocollo di Kioto, che indicava dei chiari obbiettivi per raggiungere il sospirato equilibrio sostenibile, ha visto la contrapposizione degli stati imperialisti, che hanno in diversi modi boicottato le decisioni assunte. Tuttavia, possiamo considerare positivamente l’incontro del Marzo 2007 tenutosi a Bruxelles, in cui il cancelliere tedesco Angela Merkel ha chiesto che entro il 2020 il 20% dell’energia utilizzata in Europa provenga da fonti d’energia rinnovabili, come possono essere ad esempio l’eolico, il fotovoltaico, il geotermico, l’idrico, e che il 10% dei carburanti sia di origine vegetale. Tuttavia, anche in questo caso si è registrato il pericoloso tentativo della Francia, capace di chiedere che l’obbiettivo del 20% sia legato al riconoscimento obbligatorio del nucleare alla lotta del cambiamento climatico. Se s’intende salvare il pianeta, penso che il nucleare non sia la fonte d’energia “alternativa” su cui puntare. Il nucleare potrebbero essere una soluzioni, salvo poi pericolosi imprevisti che, con un colpo di spugna, il problema “Terra” lo risolverebbero per sempre.

Il rapporto tra l’uomo e l’ambiente.

Il rapporto tra uomo e ambiente è un rapporto complesso, che affonda le sue radici nella storia. Prima d’affrontare quest’argomento, è indispensabile fare una distinzione. La natura e l’ambiente non sono due sinonimi. La natura può essere considerata come un qualcosa non ancora trasformato dall’azione umana. L’ambiente, invece, può avere diverse eccezioni: possiamo si considerare un ambiente naturale, ma allo stesso tempo si deve considerare l’ambiente analizzato in più contesti come può essere, ad esempio, un contesto urbano, industriale oppure agricolo. Diciamo che il concetto d’ambiente è comprensivo di diverse realtà, il concetto di natura è sicuramente più specifico.
L’uomo ha saputo produrre culture che hanno dato grande valore al mondo naturale, considerando gli elementi come delle vere e proprie divinità (tra cui gli antichi ellenici). Questo è il caso degli Indiani D’America, che hanno sviluppato un rapporto simbiotico non soltanto col mondo vegetale ed animale, ma con tutti gli elementi terrestri (vento, sole, acqua, cielo, etc…). La cultura orientale, ed in particolare il buddismo, ha profonda attenzione per la natura ed in particolare per il mondo animale. La legge del Karma, a la teoria della reincarnazione, ci dicono che ogni uomo potrebbe reincarnarsi in qualsiasi essere vivente. Per questo ogni singola forma di vita ha la sua importanza, e da dei principi religiosi si arriva a un profondo rispetto nei confronti di tutte le biodiversità.
La cultura occidentale, invece, parte da bel altri presupposti. L’uomo occidentale non mira alla simbiosi con l’ambiente che lo circonda, ma punta alla sua trasformazione, e all’adattamento di questo alle sue specifiche esigenze. Non tanto in riferimento alla cultura romana, quanto piuttosto a quella cristiana, l’uomo è posto al centro dell’Universo (visione antropocentrica del creato). Dio ha creato il mondo e la natura per la sua creatura prediletta, l’uomo, che ha il compito di trasformarlo e servirsene per soddisfare le proprie immediate esigenze. Anche nel mondo occidentale, tuttavia, abbiamo avuto delle correnti di pensiero che tendevano ad esaltare l’ambiente naturale. Tutto il movimento romantico trovava nella natura quell’elemento di purezza, a cui l’uomo doveva guardare se intendeva ritrovare la sua genuinità. La natura si contrapponeva al mondo degli uomini, fondato invece sulla falsità e su becere concezioni materialiste. Poeti e letterati, ed esimi filosofi quali Rousseau, basarono la loro concezione morale e politica sui presupposti sopraccennati.
Al romanticismo si contrapposero ben altre correnti culturali, che trovavo la loro ragion d’essere nella totale fiducia sul progresso umano. Il positivismo, in particolare, evidenziava come nella scienza l’uomo potesse trovare la soluzione a ogni problematica, e nulla poteva arrestare l’avanzata del progresso e della scienza. La nostra cultura è ancora profondamente pervasa da elementi positivistici, e proprio questa cultura ha accompagnato i grandi processi d’industrializzazione capitalista, con i fenomeni ad essa correlati.
Col passare degli anni, ed in particolare durante gli anni cinquanta e sessanta, il boom economico ha portato alla creazione di grandi agglomerati industriali, in tutt’Italia come sulla nostra isola. Proprio in Sardegna, in cui si è enormemente investito sul comparto chimico, sono nati degli impianti industriali altamente nocivi per l’ambiente, in un’epoca in cui questo problema non era ancora sentito, e si poneva piuttosto al centro l’occupazione.

I problemi ambientali nella nostra regione.


Sono così nate delle grandi aree industriali, come ad esempio nel Sulcis, dove c’era la necessità di riassorbire la fuoriuscita di manodopera mineraria causata dalla crisi del settore. A Porto Scuso l’ambiente è stato fortemente compromesso, polverizzando la ricchezza ambientale di un territorio che avrebbe meritato ben altra considerazione. La medesima situazione si è creata a Sarroch, dove le grandi raffinerie hanno si prodotto occupazione, ma causato dei pericolosi danni non soltanto all’ambiente ma altresì alla stessa popolazione. Il caso si Sarroch è particolare, perché lo si può avvertire senza leggere i giornali, senza neanche cercare d’informarsi. Basta andare sul colle di Buoncammino, e guardare il grande golfo che va dal porto di Cagliari e giunge sino ai Monti dei Sette Fratelli. Si può immaginare la bellezza di quel luogo, e quale valore naturalistico potesse avere. Tuttavia, questi pensieri svaniscono non appena si levano verso il cielo le fiamme delle ciminiere di Sarroch, che sono una clamorosa dimostrazione di come l’uomo può violentare il paesaggio.
Quel fumo che si alza minaccioso sulle case, insieme a quelle strutture metallizzate che sorgono proprio dinanzi alla costa, non sono soltanto un evidente scempio paesaggistico, ma costituiscono un chiaro pericolo per la salute dei cittadini, e dei tantissimi lavoratori impiegati in quegli impianti. Proprio gli operai e i cittadini sono le principali vittime di quel disastro ambientale, e non possono esserci stipendi o indennità adeguate quando il bene della salute è leso.
Per citare un ultimo esempio, richiamiamo il clamoroso caso della Sindial di Porto Torres, ritornato alla ribalta delle cronache proprio in questi giorni. Il Ministero ha appena ordinato la costruzione di un muro sottomarino profondo cinquanta metri e lungo addirittura cinque chilometri. Questo è un intervento che spiega la grave situazione ambientale che sta vivendo quella particolare zona della Sardegna.

Sardegna, un problema di partecipazione nella gestione del territorio.

Senza elencare i tanti problemi ambientali che in diverso modo affliggono le zone della Sardegna, è fondamentale sottolineare un aspetto. Molto spesso, nella nostra terra le popolazioni locali non hanno la possibilità di gestire il proprio territorio. Le Comunità sono scavalcate, e delle decisioni prese a livello nazionale sono imposte sulla pelle dei sardi. In questo modo, le popolazioni locali non possono disporre delle loro fonte di sostentamento principale: il territorio. In un’economia basata ancora fortemente sull’agricoltura e sulla pastorizia (e con un turismo in fortissima espansione), la gestione del territorio deve restare d’esclusiva competenza delle comunità locali, senza alcuna possibilità di deroga che non sia proprio la salvaguardia del territorio dalle speculazioni locali.
Un primo esempio di questa problematica può essere riallacciato a quello dei parchi naturali, come quello del Gennargentu. In questo caso il Ministero intenteva costituire un Parco senza neanche consultare le popolazioni locali, che si sono giustamente ribellate a questo atto di vera e propria prepotenza. Ognuno è consapevole dell’importanza che può avere un Parco per la salvaguardia dell’ambiente, tuttavia non si può pensare di portare a termine un processo tanto ambizioso senza la partecipazione delle comunità locali. Un caso del tutto simile si sta sviluppando nella zona di Burcei, dove la Regione ha imposto dei vincoli senza tenere in minima considerazione il parere della Comunità locale.
Lo stesso discorso vale per le Servitù militari, che sono un atto di gravissima prepotenza verso le popolazioni locali. Prendiamo il caso di Teulada, in cui sorge una Poligono permanente per le esercitazioni terra, aria, mare (in cui operano anche reparti NATO) di vastissime dimensioni. Il territorio di Teulada è di altissimo pregio, sia dal punto di vista paesaggistico che ambientale: è infatti una zona ricca di vegetazione, in cui sono presenti alcune spiagge (come Porto Tramatzu) d’altissimo pregio. Tuttavia, i teuladini non possono sfruttare il proprio territorio per la presenza di queste basi, che oltre ad impedire uno sviluppo di quella comunità, produce un altissimo tasso d’inquinamento. Prima dell’arrivo dei militari Teulada contava più di seimila abitanti, ora ne conta poco più di duemila, con alti tassi di disoccupazione. Quale economia hanno portato quelle basi? Questi sono solo due esempi ma potremo citarne molti altri.
Se si vuole affrontare seriamente il discorso della tutela del territorio, si devono coinvolgere le Comunità locali su tutte quelle scelte che li riguardano in prima persona. La nostra isola va valorizzata con uno sviluppo sostenibile progettato con la partecipazione della cittadinanza, che ne conosce meglio le potenzialità, oltre che il valore. I sardi (come qualsiasi altro popolo) devono avere il pieno diritto di tutelare la propria isola, rispettando comunque i criteri dello sviluppo sostenibile. Per sostenibilità noi intendiamo uno sviluppo che riesca a coniugare economia, risorse ambientali e culturali del territorio. Uno sviluppo non può compromettere per sempre le risorse ambientali, relegando le future generazioni a un domani di miseria. Le risorse ambientali devono essere tenute nel debito conto, e come indicato dall’Unione Europea si deve investire sulle energie rinnovabili (come il fotovoltaico, o l’energia idrica), che hanno un minimo impatto ambientale e possono essere sfruttate sapendo che, se utilizzate con sapienza, saranno a disposizione anche delle future generazioni.

La città è un ecosistema, sono necessarie delle misure per rispettarla.

Tuttavia, parlando d’ambiente, è doveroso discutere anche dell’ “ambiente urbano”. L’uomo vive principalmente nelle città, e la stessa città deve essere strutturata e resa vivibile agli uomini. Inoltre, proprio nelle nostre città, ci sono degli spazi che vanno tutelati con assoluta attenzione. Per esempio, a Cagliari abbiamo delle aree d’altissimo pregio culturale ed ambientale, che spesso rientrano nelle brame speculative di voraci imprenditori. Nel capoluogo i fronti aperti sono numerosi: abbiamo i comitati che intendono liberare la Sella del Diavolo da una pesante servitù militare, abbiamo l’avvio del Parco del Molentargius che ha tuttavia delle difficoltà, abbiamo dei primi interventi nella laguna di S. Gilla, che per anni è stata abbandonata. Proprio S. Gilla costituisce da tempo una enorme discarica abusiva a cielo aperto. Pochi giorni fa è arrivata una proposta da parte della Provincia di Cagliari, che propone la costituzione di un Parco simile a quello costituitosi per la zona di Molentargius. In particolare, questo progetto prevede anche il coinvolgimento degli oltre cento pescatori della laguna chiedendo loro, magari in cambio di concessioni alla pesca, un impegno per la tutela del paesaggio. Un progetto che possiamo considerare senz’altro positivamente, perché lega la tutela del territorio con l’economia locale.
La città, ad ogni modo, deve essere difesa da quei tentativi di speculazione edilizia che hanno tentato di polverizzare patrimonio culturale ed ambientale cagliaritano.
Per comprendere la gravità del fenomeno, possiamo prendere in considerazione l’ormai famosa questione dei colli di Tuvixeddu. Per l’ennesima volta il Comune di Cagliari ha avuto la bella idea di sacrificare una zona ad altissimo pregio ambientale per la costruzione di residence. In questo caso i cittadini, insieme ai comitati e alle associazioni ambientaliste, sono riusciti a difendere un patrimonio che non appartiene soltanto alla città, ma a tutta la Regione. Il Presidente Soru ha compiuto un atto più che giusto, bloccando dei lavori che avrebbero per sempre compromesso quel patrimonio. I comitati cittadini, come le associazioni ambientaliste, in questa città stanno diventando l’ultimo baluardo che s’oppone a un fenomeno di perpetua speculazione edilizia. Oltre a loro, tuttavia, sembra che tutta la cittadinanza stia acquisendo una nuova consapevolezza. La lotta di Tuvixeddu, che ha visto protagonista anche il Circolo Chessa di Rifondazione Comunista, ci ha chiaramente insegnato che quando i movimenti non inseguono utopiche rivendicazioni, per cogliere le reali esigenze dei cittadini, le lotte possono essere vinte, anche quando sembra quasi impossibile riuscirci.

L’unica risposta possibile: lo sviluppo sostenibile.

Per quanto siano apprezzabili, le azioni dei movimenti non possono bastare a salvare il Pianeta da un punto di non ritorno. Perché ciò sia possibile, sono indispensabili delle politiche planetarie che riescano finalmente ad invertire radicalmente la rotta segnata dalle grandi organizzazioni del mercato. I Governi devono essere capaci di andare oltre le pressanti richieste delle multinazionali dell’energia, ed individuare le misure alternative che permettano un equilibrato sviluppo anche dei paesi più poveri. Questo sviluppo ha un solo nome, nome che incomincia ad appartenere al vocabolario della sinistra d’alternativa: lo sviluppo sostenibile.
Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che mira ad unire tre aspetti fondamentali: economia, ambiente e cultura del territorio. Con questo tipo di sviluppo si vuole cercare di creare un’economia che adoperi le risorse ambientali con equilibrio, e soprattutto mira a creare quello sviluppo che abbia come base fondamentale l’utilizzo delle energie alternative. Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare i propri (dichiarazione elaborata dalla Commissione Bruntland, istituita dalle Nazioni Unite nel 1983. Il titolo del rapporto è “Our common future”, il nostro comune futuro). I punti più importanti di questo documento, caposaldo dello sviluppo sostenibile, è il valore imprescindibile dell’ambiente, non più da tutelare unicamente nella chiave etica, ma in quanto elemento indispensabile per avere uno sviluppo economico e sociale. Secondo una lettura dell’Intenational Council of local Environmental Initiatives (ICLEI) lo sviluppo sostenibile “è quello sviluppo che distribuisce i servizi ambientali, sociali ed economici a tutti i residenti di una comunità, senza minacciare la sopravvivenza degli stessi sistemi sociali, naturali ed artificiali da cui questi servizi dipendono.
Ma lo sviluppo sostenibile non basterà, se nella nostra città non ci sarà un radicale cambiamento del nostro rapporto con la natura, e con tutto l’ambiente. Sin quando non comprenderemo che le risorse ambientali non sono infinite, ma rischiano realmente d’esaurirsi, continueremo a mettere in pericolo il nostro pianeta. Sino a quando la crescita economica senza controllo sarà posto prima della vita dell’uomo, l’uomo non potrà garantire la vita alle future generazioni. I cittadini devono imparare che il Pianeta è la loro casa. A nessun individuo verrebbe in mente di devastare la propria casa, anzi, cercherà di conservarla per lasciarla un giorno ai propri figli. Allo stesso modo, tutti noi dovremo imparare a rispettare questo povero pianeta, se vogliamo che le future generazione abbiano una casa dove poter vivere.


Vincenzo M. D’Ascanio.

venerdì, marzo 16, 2007

Documento per i dipartimenti dei Giovani Comunisti

Talvolta nei Partiti, così come in tutte le organizzazioni politiche, le decisioni sono imposte in maniera verticistica, senza un’approfondita discussione tra gli iscritti. In questo modo si determina una forma di democrazia snaturata, che non muove i propri passi dal basso, come invece dovrebbe essere.
Il modello di società che noi auspichiamo è una società in cui sia garantita la partecipazione, in cui i cittadini abbiano concrete possibilità di pesare nella e sulla politica. Il nostro Partito ha un preciso progetto: quello di rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono la partecipazione, per avere finalmente una politica diffusa e condivisa. Il distacco tra rappresentanti e rappresentati è un grave pericolo per la credibilità della politica, che rischia d’essere avulsa dalle reali esigenze della collettività.
I Giovani Comunisti, in primo luogo, devono essere capaci di coinvolgere le istanze di base nei processi decisionali. I GC devono trasformarsi in un laboratorio politico, in cui si sperimentano nuove pratiche di partecipazione politica e sociale. Rinchiuderci nei vecchi dettami dei meccanismi di Partito non ci servirebbe a nulla, facendoci perdere la specificità del nostro agire politico.
Partendo da questi presupposti, sarà convocata una Conferenza Federale dei Giovani Comunisti, per cominciare a discutere il documento organizzativo dei GC. Questa Conferenza anticipa le future assemblee dei CG nei rispettivi Circoli territoriali, in cui si dovranno elaborare possibili proposte alternative al documento presentato, che rimane una proposta di base per avviare la discussione. Una volta che il Coordinamento Federale si riunirà, le proposte saranno raccolte in unico documento organizzativo, con il contributo di tutti i compagni.
Ci auguriamo che alla Conferenza possano partecipare il più alto numero di compagni.

Il coordinatore federale dei Giovani Comunisti

Vincenzo M. D’Ascanio



N.B.
Il documento proposto può essere letto e scaricato dal blog dei Giovani Comunisti della Federazione di Cagliari: www.gccagliari.blogspot.com

Occupazione lavoratori del policlinico universitario

Giungo in Via Roma verso le diciannove, ma prima che il tram si fermi vedo già in lontananza gli striscioni preparati dai lavoratori in lotta. La facciata del pianoterra del palazzo della Regione ha cambiato fisionomia: ora le richieste dei precari spiccano su tutto, e un luogo associato ai poteri forti (e talvolta all’ambiguità della politica) deve fari i conti con una rabbia che cresce oramai dal 2000. La prima cosa che noto è la presenza delle due piccole tende da campeggio, una blu e una bianca, che serviranno per trascorrere la notte.
“Qualcuno dorme anche sulle sedie”, mi dice Anna, una bella ragazza che indossa una coperta per proteggersi dal freddo. Già, perché il freddo a Febbraio si fa sentire anche in Via Roma, ma non è certamente l’Inverno a spaventare i lavoratori del Policlinico di Monserrato.
La storia degli operatori del Policlinico purtroppo è sempre la stessa, che abbiamo imparato a sentire molte volte, troppe volte, in questi ultimi anni di gioco al ribasso. Questi lavoratori sono stati assunti nel 2000, tutti con contratti a tempo determinato, anche di pochi mesi. Oggi chiedono un posto stabile, un lavoro “reale”, ma ciò non è possibile, perché la normativa sulla materia è cambiata.
“Per essere assunti a tempo indeterminato, abbiamo bisogno della qualifica. Perché ciò sia possibile, sarebbe sufficiente un corso di formazione, ma forse sono altri i lavoratori a cui vogliono dare i nostri posti, perché di corsi di formazione neanche se ne parla…”
Queste sono le parole di Marta (il nome è inventato), una lavoratrice stanca di subire la propria condizione di precaria che deve fare i conti con la fine del mese.
“Molti dei lavoratori che aderiscono a questa protesta hanno soltanto un reddito, per giunta precario… Com’è possibile mandare avanti una famiglia, cosa dobbiamo fare?”
Io le dico che questa è una condizione generale di tutti i lavoratori, di qualsiasi età. Quando le chiedo per quanto hanno ancora intenzione di protestare, lei mi risponde decisa:
“Sino a quando non ci daranno ciò che ci spetta. Le Istituzioni devono ascoltarci, e attendiamo una risposta del Rettore Mistretta che non c’è ancora stata!”
Tutti annuiscono, perché tutti sono ovviamente d’accordo con Marta.
“Io ho un solo stipendio, la situazione è intollerabile!” Mi dice un ragazzo seduto vicino, e conclude facendomi capire che la sua pazienza è arrivata a un limite. “Ma prima o poi ci daranno una risposta, vedrai che la daranno”
La storia dei lavoratori del policlinico ha un seguito Venerdì 14 Febbraio, perché si decide di protestare dinanzi al rettorato in Via Università. Qui il Rettore Mistretta ha deciso finalmente d’incontrare i lavoratori, sottolineando che presto la situazione verrà risolta. Quelle del “magnifico” rettore erano soltanto delle promesse? Soltanto nei prossimi giorni avremo una risposta. Tuttavia, non possiamo dimenticare che la precarietà e la disoccupazione sono i principali problemi della nostra Regione. Un intero popolo chiede lavoro, dignità e diritti: per quanto tempo ancora dovrà aspettare?

Vincenzo M. D’Ascanio.